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Rogiero, senza por tempo tra mezzo, di un lancio maraviglioso, tutto armato com'era, inforcò il cavallo; Giordano d'Angalone concitandolo con la voce e con gli sproni, lo spinse di piena foga l

«Egli è finito, mio Re: noi provammo di tentare anche una volta la fortuna; i nemici stavano avvisati; molti uccidemmo, molti anche dei nostri rimasero uccisi: due volte, mentre io correndo senza spada per la mischia animava i Saraceni, d'Angalone mi coprì con lo scudo, e mi difese dai colpi nemici. Giordano, io ti dissi grazie allora, e te lo dico adesso, e sempre.

Senza elmo in testa, co' capelli rappresi di sudore e di sangue, ferito nel volto, tenendo nella manca lo stendardo reale lacero, nella destra la spada dalla punta all'elsa intaccata, si presenta Rogiero a Manfredi, e da lontano gli grida: «Alla riscossa. Messere lo Re, alla riscossa!» «Ch'è questo? lasciano il campo i codardi? Dove è Messer Ghino?» «È morto....» «D'Angalone?» «Morto....»

«Conte d'Angaloneinterruppe Manfredi «oggimai le cose non sono più intere come a San Germano; adesso sarebbe danno quello che allora appariva lodevole; l'onore nostro chiede l'ammenda.» «Salva vostra grazia, Messer lo Re, voi sapete meglio che altrui gli affari del Regno non governarsi con le canzoni dei Trovatori, e l'onorato esser chi vince....»

Arrivato che fu Manfredi nella sua real sede di Benevento, mandò per l'Amira dei Saraceni, Sidi Jussuff, della stirpe dei Ben-izeyen, il quale comparso, e salutato il signore con ogni dimostrazione di rispetto, secondo il costume degli Orientali, gli stette immobile davanti, aspettando il comando. Manfredi ordinava: «D'Angalone, procurate sollecito che le compagnie dei Tedeschi di qui a due ore sieno in punto di marciare per San Germano; tu, Baba Jussuff, fa lo stesso dei tuoi Saraceni: tu sai, che sebbene noi siamo credenti di Sidi Issa, tuttavolta li consideriamo come i più fedeli sudditi nostri; va, loro che si apparecchia un breve travaglio, che il Dragone minaccia la luna, ma che Dio grande ha destinato che uscir

Si avvicinano i tempi fatali. Manfredi, alla dimane convocato il consiglio dei suoi, così favellava al Conte Giordano d'Angalone: «Or via, vedete, Giordano, se vero è stato il nostro presagio? Non ve lo dicevamo noi, che da questa tregua non avremmo ricavato altro che la infamia di averla proposta

«Da quando in qua, bel Cavalieresoggiunse il d'Angalone «dobbiamo combattere quando piace al nemico? forse i duelli hanno altra legge, ma nelle battaglie il tempo utile è sempre il tempo onorato....»

Il Conte Giordano d'Angalone mirò quella morte; la mirò, e una tenebra gli si diffuse su l'anima; nondimeno, risoluto di non tornare in sembianza di vinto l

Giungevano alle ultime piante della foresta; videro una grossa squadra di Saraceni che portando moltissimi arbusti di pino accesi spandevano quel chiarore: guardarono più attenti, e riconobbero l'Amira Sidi Jussuff, e il Conte Giordano d'Angalone, che, montati sopra corsieri di battaglia, s'inoltravano abbattuti, senza dirsi parola.

D'Angalone, a cui quella dottrina della fatalit