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Sollevò leggermente il velo sulla culla di mio figlio e me lo mostrò tutto roseo nel sonno. Provai allora un impeto tale di tenerezza che balzando fuori dal letto corsi alla culla e mi lasciai cadere in ginocchio lagrimando. Orsola, spaventata, temeva che fossi in preda al delirio della febbre. Per tranquillizzarla tornai a coricarmi, lasciandomi rinvoltare da lei nelle coperte con quella docilit

VirgilioMi alzai, apersi la porta, e non vidi persona; tornai a coricarmi, e la voce di nuovo gridò: «Virgilio! VirgilioPer questa volta io non mi era ingannato di certo, e risposi: «chi mi chiama?» E la voce: «Io ti chiamo dal paradiso». Eccomi pronto, mio Dio»; ma la voce: «No, la tua ora non è venuta ancora, ma si avvicina».

Trattandosi d'una sola notte non m'ero fatto dare una cabina neppur io: m'ero scelto invece un buon posto sul divano e vi avevo deposto il mio plaid e il mio mantello per acquistarmi quello che i giureconsulti chiamano diritto d'usucapione. Prima di coricarmi risalii sopra coperta affine di vedere lo stato del cielo.

Non potevo nemmeno ricordarmi chi era; stavo così bene vicino a lei; tutto il peso de’ suoi capelli soffici e caldi mi traboccava su la spalla ingombrata; le sue braccia morbide, impure, avvinte alla mia persona mai da nessuno abbracciata, oscuramente mi facevano sentire il bisogno di coricarmi supina. Era tardi; faceva un po’ freddo; su noi, su la nostra coltre, dormiva un raggio di stelle.

Prima di coricarmi apersi la finestra, guardai la selva di tetti acuti e le torri della Lorenzkirche, oltrepassate oramai dalla luna, che ne inargentava gli alti trafori gotici. Contemplai lungamente la citt

La sera passò senz'avvenimenti notevoli, fuorchè la scoperta ch'io feci d'uno scorpionaccio nero sopra il cuscino del mio letto, nel momento che stavo per coricarmi. Fu però un terrore passeggiero, poichè avvicinandomi a poco a poco col lume, lessi sul dorso dell'animale l'iscrizione rassicurante: Cesare Biseo fece addì 5 maggio 1875. La mattina all'alba partimmo alla volta della citt

Mi fece sedere sul letto, mi toccò di nuovo la fronte. Senti? La febbre ti cresce. Cominciati a spogliare. Su, via! Con una tenerezza che mi ricordava quella di mia madre, egli mi aiutava a svestirmi. Mi aiutò a coricarmi. Seduto al mio capezzale, mi toccava a quando a quando la fronte per sentire la mia febbre; mi domandava, sentendomi ancora tremare: Hai molto freddo? Non ti cessano i brividi?

«Erano le undici. Mi restavano quattro ore per finire di mettere in sesto la mia valigia, spettinarmi, svestirmi, dormire, poi rivestirmi, ripettinarmi. Ed avevo il cuore così angosciato, ero in tale eccitamento nervoso che prevedevo di passare una terza notte di veglia. Rinunciai affatto a coricarmi. Mi abbandonai in una poltrona col capo tra le mani, decisa ad aspettare l

M'ha domandato subito: "È tornata la mamma?" Voleva venire.... Perché non dici a Edith che me la porti? S'è messa a letto Edith? No. Addio, Giuliana interruppi. E m'appressai, e mi chinai a baciarle la guancia ch'ella mi porgeva sollevandosi un poco su i gomiti. Addio, mamma. Vado a coricarmi perché ho un sonno che m'acceca. E non prendi nulla? Federico è rimasto giù ad aspettarti....

Gianbarba cucinò le uova stupendamente e mi porse una tazza di caffè irreprensibile. Verso le undici, uscii per la mia solita passeggiata. Rientrando, trovai Gianbarba avvolto in una nube di polvere. Egli avea finito di scopare gli appartamenti e si accingeva a ripulire le mobilie. Vado a coricarmi per un paio d'ore, gli dissi.