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Ciò potrebbe parere esagerazione; ma a quei due milioni d'uomini così tremendamente conculcati, rimaneva tuttavia un barlume di speranza, e le confische medesime non potevano intercettar loro le contingenze favorevoli dell'avvenire.

Non mi tocca riferire gli avvenimenti, altronde ben noti, di cui fu teatro il Piemonte in quel tempo. Mi basta indicare l'aiuto dato dalle truppe austriache al re di Piemonte; e la parte che esse ebbero nel ristabilimento dell'antico ordine di cose. Il re di Piemonte spietatamente si ricattò sopra i suoi sudditi della debolezza de' suoi mezzi, per cui era astretto ad invocar forze dall'Austria. Questa poi, paga di occupare, benchè momentaneamente il Piemonte, paga del male esito delle macchinazioni dei rivoluzionari, e della cognizione acquistata degli accordi tra i sollevati piemontesi e i malcontenti lombardi, paga, infine, di vedere il re, suo protetto, arrischiarsi sulla sdrucciolevole china dei supplizi capitali e delle confische, astenevasi da ogni provvedimento di tal fatta, ostentando così clemenza e dolcezza. Alcuni mesi di tal guisa trascorsero, dopo i quali il re di Piemonte parve desiderar la partenza delle truppe austriache, e ne fece domanda, che fu incalzata da quelle degli altri sovrani d'Europa, sospettosi forse che la dimora delle truppe austriache in Piemonte si protraesse oltre il dovere. L'Austria però non intendeva a ritirare presto le sue soldatesche. E giova qui notare quanta importanza pone l'Austria nelle brevi sue occupazioni delle varie parti del territorio italiano. Non appena le si affaccia l'occasione d'inframmettersi negli Stati pontifici, nel reame di Napoli, nel Piemonte, nel ducato di Modena, in quello di Parma, essa premurosamente l'afferra. Allorchè le cagioni per cui fu chiamata non esistono più, allorchè il principe che ne ha invocato l'aiuto, e i sovrani emoli dell'Austria, e l'Europa intiera la richieggono di ritirarsi, essa studiasi di mandare in lungo le cose, allega un pretesto, accampa un qualche diritto, oppone un qualche ostacolo; in somma, benchè essa sappia che il suo definitivo stanziamento negli Stati che non le sono stati concessi dai trattati di Parigi e di Vienna, non potrebb'essere tollerato, pure si sforza di rimanervi quanto più lungamente sia possibile. È questa mera fanciullaggine; perocchè, sapendo l'Austria per certo di non potere definitivamente impadronirsi di questi Stati, qual maggior pro può essa mai trarre da un'occupazione durata tre mesi, che non da una durata un mese solo? Spera essa forse che, protraendo di giorno in giorno la partenza, si far

Il Papato ormai non ardisce più concupire i reami altrui, anco si attenta sbarrare un gherone del manto di San Pietro, solo ne cincischia brandelli per coprirne le spalle ai suoi figliuoli, e questi si tirano da parte a rosicchiarli come gatti il ventriglio. Sisto V al cardinale nipote assegnava centomila scudi di rendita, all'altro co' danari della Chiesa comprò il principato di Venafro, e la contea di Celano. Quello che ardisse Clemente VIII. non si ricorda; donò ai suoi un milione fra tutti; poi ad ognuno sessantamila scudi di entrata; mancatigli i beni della Chiesa, arraffò gli altrui, aiutatori giudici, auspice il boia. Paolo V. co' suoi Borghese procedeva anco più largo; il Cardinale Scipione ebbe 150 mila scudi di rendite ecclesiastiche, Marcantonio il principato di Sulmona, palazzi, ville, vasellami di argento, gemme, suppellettili che valsero un tesoro; di danaro un milione; e più strano ancora il privilegio di ribandire gli sbanditi, instituire fiere, imporre gabelle sopra altrui, non pagarne essi; andare immuni da confische, impunit