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Disastro così grave ne metteva in luce un altro meno generale, ma non meno grave. Ignazio Mustica, cassiere del civico Banco, falliva d’una ingentissima somma: chi facevala ammontare a cinquanta, chi a settantamila scudi. Come avea potuto egli trascinare a così inattesa iattura il paese? Con la connivenza e la cooperazione di alcuni ribaldi: il libreri (ragioniere) Giuseppe La Rosa e lo scritturale Salvatore del Carretto; coi quali, appena scoperto, prendeva il largo, più destro e fortunato degli autori delle frodi e falsit

L’Ordine religioso dei Mercedarî avea per istituto la redenzione degli schiavi. Quest’Ordine avea in Palermo un convento al Capo, nel quartiere di Siralcadi, ben diverso dall’altro, e maggiore, dei Mercedarî scalzi ai Cartari, la cui Chiesa, maravigliosamente solida per costruzione, veniva anni fa, per inconsulta deliberazione del consesso civico, demolita. Cooperavano al medesimo fine pietoso e con espedienti poco diversi, uomini per censo, dottrina e piet

Avrebbe potuto il glorificatore scrivere ben centoquindici pagine contro l’abolita proibizione di libera vendita decretata dal Re senza il pieno consenso del Senato? La sua dissertazione quindi rispecchia le opinioni del consesso civico: ed è tutto dire. Capitolo VI. Le Maestranze palermitane apparvero all’apogeo della loro potenza negli scomposti tumulti del 1773.

Certo non era il quaresimalista d’una parrocchia privilegiata che poteva imporre soggezione. Questo, nominato bensì dal Senato, era un oratore di secondo o di terz’ordine: e solo le deliberazioni del civico consesso ne serbano ricordo.

La funzione del Vespro cantato era occasione alla tradizionale offerta delle cent’onze da parte del Magistrato civico.

Ma i Francescani se ne impipavano, perchè avevano dalla loro il Magistrato Civico e sapevano che tutte le simpatie dei Domenicani non sarebbero valse un briciolo nella protezione di questo, specialmente dopo che la potenza dell’ordine di S. Domenico era stata depressa per l’abolizione del S. Uffizio. ¹⁵¹ Cfr. in questo vol. il cap. I, p. 24.

L’intervento del Senato alle chiesastiche funzioni imponeva doveri estremamente delicati negli officianti. Guai se durante una di esse nella Cattedrale il Magistrato civico non ricevesse le incensate in perfetta regola! Nelle messe solenni, dopo l’offertorio e la incensazione dell’altare, il Cerimoniere del Comune s’avviava all’altare a prender l’incenso pel Senato. Un terminatore ed un canonico, diacono assistente, partiva con lui; un terminatore e un diacono assistente partiva pel Capitolo. Contemporanee, quasi isocrone, dovevano essere le incensazioni. Più e più volte s’era dovuto occupare non solo il Senato, ma anche l’autorit

Onore poi del Magistrato civico era la parte attiva, generosa ch’esso prendeva ad ogni piccola e grande sventura del paese. Incendî, tremuoti, alluvioni, carestie lo trovavano sempre al suo posto di tutore, benefattore, padre dei cittadini. ¹²⁸ Diario, in Bibl., v. XIX, p. 158; XXI, 392; XXVI, 39.