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Lo mio maestro e io soli amendue suso andavamo; e io pensai, andando, prode acquistar ne le parole sue; e dirizza’mi a lui dimandando: «Che volse dir lo spirto di Romagna, e ‘divieto’ e ‘consorte’ menzionando?». Per ch’elli a me: «Di sua maggior magagna conosce il danno; e però non s’ammiri se ne riprende perché men si piagna.

ma stieno i Malebranche un poco in cesso, ch’ei non teman de le lor vendette; e io, seggendo in questo loco stesso, per un ch’io son, ne farò venir sette quand’ io suffolerò, com’ è nostro uso di fare allor che fori alcun si mette». Cagnazzo a cotal motto levò ’l muso, crollando ’l capo, e disse: «Odi malizia ch’elli ha pensata per gittarsi giuso!».

Li angeli, frate, e ’l paese sincero nel qual tu se’, dir si posson creati, come sono, in loro essere intero; ma li alimenti che tu hai nomati e quelle cose che di lor si fanno da creata virtù sono informati. Creata fu la materia ch’elli hanno; creata fu la virtù informante in queste stelle che ’ntorno a lor vanno.

ciascun di quei candori in si stese con la sua cima, che l’alto affetto ch’elli avieno a Maria mi fu palese. Indi rimaser nel mio cospetto, ‘Regina celi’ cantando dolce, che mai da me non si partì ’l diletto. Oh quanta è l’ubert

così la mia memoria si ricorda ch’io feci riguardando ne’ belli occhi onde a pigliarmi fece Amor la corda. E com’ io mi rivolsi e furon tocchi li miei da ciò che pare in quel volume, quandunque nel suo giro ben s’adocchi, un punto vidi che raggiava lume acuto , che ’l viso ch’elli affoca chiuder conviensi per lo forte acume;

Allora il duca mio parlò di forza tanto, ch’i’ non l’avea forte udito: «O Capaneo, in ciò che non s’ammorza la tua superbia, se’ tu più punito; nullo martiro, fuor che la tua rabbia, sarebbe al tuo furor dolor compito». Poi si rivolse a me con miglior labbia, dicendo: «Quei fu l’un d’i sette regi ch’assiser Tebe; ed ebbe e par ch’elli abbia

Quando scendean nel fior, di banco in banco porgevan de la pace e de l’ardore ch’elli acquistavan ventilando il fianco. l’interporsi tra ’l disopra e ’l fiore di tanta moltitudine volante impediva la vista e lo splendore: ché la luce divina è penetrante per l’universo secondo ch’è degno, che nulla le puote essere ostante.

Li altri due punti, che non per sapere son dimandati, ma perch’ ei rapporti quanto questa virtù t’è in piacere, a lui lasc’ io, ché non li saran forti di iattanza; ed elli a ciò risponda, e la grazia di Dio ciò li comporti». Come discente ch’a dottor seconda pronto e libente in quel ch’elli è esperto, perché la sua bont

Così dintorno a l’albero robusto gridaron li altri; e l’animal binato: « si conserva il seme d’ogne giusto». E vòlto al temo ch’elli avea tirato, trasselo al piè de la vedova frasca, e quel di lei a lei lasciò legato. Come le nostre piante, quando casca giù la gran luce mischiata con quella che raggia dietro a la celeste lasca,

ciascun di quei candori in si stese con la sua cima, che l’alto affetto ch’elli avieno a Maria mi fu palese. Indi rimaser nel mio cospetto, ‘Regina celi’ cantando dolce, che mai da me non si partì ’l diletto. Oh quanta è l’ubert