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LECCARDO. So che sei d'una naturaccia larga e liberale, che ciò che ti è cercato in presto tu doni. CHIARETTA. Su, di' presto, che vuoi? LECCARDO. Che mi presti la.... CHIARETTA. La che? LECCARDO. La..., mi vergogno di dire. CHIARETTA. Se ti vergogni dirmelo di giorno e in piazza, dimmelo all'oscuro in casa. LECCARDO. Vorrei che mi prestassi la gonna di Carizia.

Era meglio non pensarci neanche. Quest'era il nembo lontano che ruggiva nei discorsi della contessa, ma di a poco tornava il sereno, tornava l'idillio pastorale. Che moglie più amorosa di Fortunata poteva mai trovare Leonardo; che nuora più devota, più ubbidiente potevano trovare il conte Zaccaria e la contessa Chiaretta? Non era una Venere, ma non era nemmen brutta e spiacente, e poi aveva tutto le qualit

LECCARDO. E quando starò abbracciato con te, mi parrá di gustare il sapor di tutti quest'animali, o mia vacca, o mio porchetto, o mia agnella, o mia capra! CHIARETTA. Starò dunque mal appresso te, che non mi mangi. Ma arei caro darti martello. LECCARDO. Sei piú atta a riceverlo che a darlo. Oh come par bella Carizia or che pompeggia fra quelle vesti.

Hai certi labruzzi scarlatini come un prosciutto, una bocchina uscita in fuori com'un porchetto, gli occhi lucenti come una capra, le poppe grassette come una vitella, le groppe grosse e ritonde come un cappone impastato: in somma non hai cosa che non mi muova l'appetito; ebbe torto la natura non farti una capra. CHIARETTA. E tu che vòi esser mio marito, un becco.

LECCARDO. Ben sará se non s'appicca con le sue mani! DON FLAMINIO. Questo bisogno sarebbe a punto per farmi felice! Andiamo. LECCARDO. Ed io vo' entrar qui dentro e prendermi spasso di Chiaretta col capitano. SIMBOLO. Padrone, vi è passata ancora quella rabbia? DON IGNAZIO. Anzi me n'è sovraggionta dell'altra.

Ci ho pensato su, e mi son convinto che non posso far di meno di sposar Fortunata. Ho degli obblighi. Il lustrissimo Zaccaria e la lustrissima Chiaretta rimasero di sasso, perchè fino allora il contino non s'era mostrato così soggetto agli scrupoli.

LECCARDO. Se ti burlo, facci Dio che mai gusti vino che mi piaccia! CHIARETTA. A questo giuramento ti credo. A che ora? LECCARDO. Alle due, in questa casetta terrena. CHIARETTA. Perché non in casa nostra? LECCARDO. Ché facendo romore non siamo sconci: ne parlaremo piú a lungo in casa. CHIARETTA. Bene. LECCARDO. Non mancarmi della tua promessa. CHIARETTA. tu della tua.

In breve la cosa passò per tutte le bocche, e in cucina si discusse gravemente se si doveva o no metter sull'avviso Sua Eccellenza Zaccaria e Sua Eccellenza Chiaretta.

Mentre che la contessa Chiaretta e il cappellano si querelavano in tal maniera delle tristi condizioni dell'umanit

CHIARETTA. Ho tanta allegrezza che Carizia, la mia padrona, sia maritata che pare ch'ancora io sia a parte delle sue dolcezze. LECCARDO. Maggior dolcezza aresti, se gustassi quello che gustará ella quando staranno abbracciati insieme. CHIARETTA. E se fusse a quei piaceri, ne gusterei ancor io com'ella: che pensi che non sia di carne e d'ossa come lei? o le membra mie non siano fatte come le sue?