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Che quel dì mi togliesse a scempio indegno, Ch'Ottoman di mio mal prendesse cura, Acerbo fu d'alcun demon disdegno, Che quì mi serba a più crudel ventura; Ch'ei torni in Asia tuttavia m'ingegno Per comune salute, ed ei s'indura, E sprezza quanto il ciel chiaro predice Per ambedue d'atroce, e d'infelice.
Le destre lor, ne la battaglia dura, Di barbarico sangue atre e cosperse, Per noi coprir da le percosse infeste, Incontra Turchi appariran men preste. Ben è ver, ch'Ottoman non frena l'ira, Sempre ingordo via più dei nostri danni, E del misero dì l'ora desira, In che noi tutti a giogo vil condanni.
Movi, Sangario, e ne l'orribil sorte Salda la fede, e l'arti tue sian pronte; Ed imprimi quei segni, onde sei forte Scotere i campi, e di Cocito il fonte; Rimira, ch'Ottoman sen corre a morte: Deh togli a l'Asia e le miserie e l'onte, E ti caglia di me, cui si riserba Più ch'ad altro mortal miseria acerba.
Dunque fia ver, che miserabil vegna Di Rodi il nome? e ch'Ottoman calpesti A suo pieno voler la nostra insegna? E l'ordine di noi tanto funesti? E che per me ne la miseria indegna Un avversario sol non si molesti? E perchè de' nemici alcun non cada, Divietato mi sia stringer la spada? Ah non la destra man dianzi ferita M'avesse stral ne la battaglia rea, Ma m'avesse quadrel tolta la vita.
Parola Del Giorno
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