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Dodone incominciava a lusingarsi che i scrittoracci avesser decadenza; ma il mal, che aveano fatto, a ripurgarsi non bastava una quarta discendenza. Or del guascon bisogna ricordarsi, ch'era fuggito e in bando per sentenza, e va maledicendo il suo duello; ond'io ripiglio traccia dietro a quello. Fece due leghe di cammino a piede, e ancora della cesta non s'avvede.

Quando trovavano la cesta di pesce sulla porta, dicevano che certo qualche buona fata pensava a loro, e per far qualche soldo, vendevano il pesce ai vicini.

Fece aprire, rimase un pezzetto a rovistare e a parlare con due uomini sconosciuti a tutto il vicinato, cacciò in una cesta alcune masserizie e le coprì con un mucchio di fiori d'organsino. Al giorno dopo arrivarono gli stessi sconosciuti e vuotarono la bottega tutta quanta. I monelli del vicinato s'impadronirono dei ritagli delle carte colorate e li sparsero per tutta la via.

Diceva di voler così infiorare la via all'Atteso, al Nascituro; pensava di ridurre la culla una cesta di fiori, tra cui doveva riposare e dormire il fiore più bello e più raro, Colui che in quegli ultimi giorni la faceva soffrire come non aveva mai fatto durante la gestazione. E una settimana dopo!...

A poco a poco riconobbe la camera;... era proprio la sua camera!... C'erano ancora sul cassettone, in mezzo alle boccettine, ai vasetti, alle ampolle le due melagrane che gli avevano mandate la zia Angelica e la zia Rosa, coll'ultima cesta della biancheria. Allora capì tutto, senza però ricordarsi bene.

Ma la malattia si prolungava, e la mamma era sempre preoccupata del suo lavoro. Una sera, mentre l'ammalata riposava, la fanciulla provò ad avviare la macchina e a far andar avanti il lavoro che stava ammucchiato in una cesta. Vide che le riusciva bene e continuò ad andare innanzi, approfittando dei momenti nei quali la mamma dormiva, perchè quando era desta doveva stare ad assisterla.

Rassicurato alquanto, finalmente s'avvide e disse presto: Ho fatto male. Io potea ben provedermi altramente; perdio! che reco un degno capitale! Cento zecchini avea per accidente, avanzo d'una paga mensuale, e bel vestito e ricco farsettino: getta la cesta e segue il suo cammino.

Il nero vestito signorilmente, col turbante bianco e col caffettano celeste, gli depose ai piedi un vaso di latte, una cesta di aranci e un piatto di cuscussù; l'arabo, d'aspetto povero, vestito della sola cappa, gli mise dinanzi un montone. Compiuto quest'atto, si scambiarono uno sguardo fulmineo. Erano due nemici mortali.

E non mi parve assurdo che io le dicessi così. Mia, madre aveva fatto recare una cesta di rose, e cominciò a spargergliele addosso a piene mani.... Ne versai a piene mani anch'io, lasciando libero soltanto il viso.... E ripetei sommessamente: Dormi, cara! Sogna, cara! Sogna!

Alcun de' paladin si prova l'armi in faccia alla sua dama afflitta e mesta, che dice: Voi volete tormentarmi; mi sembrate un tincone in una cesta. Se m'amate, un favor dovete farmi: scansatevi di abate con la vesta. A corte il paladin fedi ha mandate ch'ei s'era messo il collarin da abate. Orlando irato fa gobbe le spalle, e me' che può rattaccona le cose.