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PASQUELLA. Tírate piú in qua in questo canto, ché la padrona non vegga. GIGLIO. Burlatime otra volta o no? PASQUELLA. Ben sai ch'io ti burlo. Son forse avvezza a burlare, eh? Vero, eh? GIGLIO. Hor dezite presto: que es esto? PASQUELLA. Sai? Quando noi parlavamo insieme, Isabella, la mia padrona, era venuta giú pian piano e stava nascosta accanto a me e sentiva ogni cosa.

ARMELLINA. Impalato possi esser tu da' turchi! VIGNAROLO. Ah, traditora, perché mi maledici? ARMELLINA. Burlo cosí con te. VIGNAROLO. Ed io me lo prendo da dovero. Io non amo al mondo altri che te. Tutto il giorno piango e mi tormento, e per chi, ah? per te, lupa, cagna che ti mangi il mio cuore; e tanto potrei star senza amarti quanto far volar un asino.

Mi fece grandi elogi di miss Yves che chiamava sua amica, e si burlò di me, che l'avevo creduta maritata. L'anello pareva nuziale, ma non era del tutto liscio. Ella era solamente fidanzata e non pareva affatto innamorata del suo fidanzato; suo padre era inglese, sua madre italiana; ella stessa era nata in Italia.

AP. Credimi ch'io dico da vero e non burlo, che il vedere una volta quello che non videro mai gli antichi, debbe esser caro ad ognuno, e massimamente a chi è curioso. FR. Adunque tu non sai quello che sa tutto uomo?

SINESIO. Che cosa t'odo io dire? ARREOTIMO. Il fatto va tutto al contrario di quel che pensate: ché Cintio non ha tolto l'onore a Lidia, ma Erasto l'ha tolto a mia figliuola, l'ha impregnata ed è quasi vicina al parto. SINESIO. Che figlia aveste voi mai? voi mi burlate. ARREOTIMO. Ho una figlia femina, e non vi burlo. SINESIO. Di grazia, disvelatemi il negozio ché lo capisca.

Non burlo io; anzi parlo del miglior senno che io mi abbia. Non avete voi mai letto le storie, almeno le romane? , le avete lette. Or bene; e a che pro leggete libri, se non ne fate vostro vantaggio per ben condurvi nel mondo? Rammentatevi la minaccia di Tarquinio a Lucrezia: egli, dove non gli assentisse la moglie di Collatino, le dichiarò l'avrebbe uccisa, e poi messo al fianco uno schiavo trucidato, pubblicando averla sorpresa nel turpe adulterio, e morta per giusto dolore della offesa fatta al parente, per vendetta della sacra maest

LECCARDO. Se ti burlo, facci Dio che mai gusti vino che mi piaccia! CHIARETTA. A questo giuramento ti credo. A che ora? LECCARDO. Alle due, in questa casetta terrena. CHIARETTA. Perché non in casa nostra? LECCARDO. Ché facendo romore non siamo sconci: ne parlaremo piú a lungo in casa. CHIARETTA. Bene. LECCARDO. Non mancarmi della tua promessa. CHIARETTA. tu della tua.

Corri veloce, diritto alla mèta, perchè io possa lodare il tuo coraggio!... Son vane le vostre minacce, vecchi Titani invisibili, che levate le braccia a tutti gli angoli dell'orizzonte brandendo in giro cime nere, sospese sopra il mio capo!... Io mi burlo di te, Scorpione colossale accosciato su l'altipiano supremo... tu che agiti in cielo le immense tue antenne armate di stelle sanguigne come di massacranti mazze dorate!...

Io vengo a te, Vulcano, e mi burlo delle tue furibonde sghignazzate da ventriloquo. Credimi: io non sono in tua balìa! Vorresti, lo so, imprigionarmi nelle tue reti di lava, come fai con i giovani sognatori ambiziosi quando affrontano sui tuoi fianchi l'orribile tristezza dell'enorme tramonto che si sganascia a ridere a crepapelle, talvolta, in un gran terremoto! lo non temo i simboli, le minacce dello spazio che può a piacer suo seppellire le citt

FORCA. Ah, io non pensava che voi parlaste di cose triste, ma della sua Legge; e tutto il giorno si trastulla con la sua libraria, la strapazza e se la tiene aperta innanzi. FILIGENIO. Cosí mi burli, eh? FORCA. Io non burlo altrimente; rispondo alle vostre dimande.