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Il comandante d'una fregata come la Borbona a bordo è un sovrano, e non abbisogna per ciò essere un Nelson. La rigorosa disciplina, ancor più facilmente attuabile sui bastimenti da guerra che nell'esercito, fa che ognuno deve ubbidire al capo, inesorabilmente.

Egli diceva: «meglio uccello di bosco, che uccello di gabbia». Il Comandante della Borbona era, come tutti i servitori di Re, uomo col cuore nella pancia, e bastava perciò che non l'avessero disturbato nei suoi quattro pasti diurni, e dal suo favorito caffè, due volte al giorno, perchè egli potesse passare per un buontempone.

Non sorrise egli, perchè grave pensiero l'occupava in quel punto, ma l'ala dell'ironia gli sfiorò, passando, le gote. Quivi un episodio alla marina richiamò l'universale attenzione. La Borbona, pirofregata regia di 50 cannoni, transitava fra Scilla e Cariddi. La nostra artiglieria da campo, in batteria alla spiaggia del Faro, osò attaccarla.

La Borbona apparteneva ad un periodo di decadenza per la vela, ma di progresso nell'arte della distruzione, perfezionata poi dalle odierne corazzate: essa era fregata ad elice di classe ed anche molto elegante.

«Non vanno le cose molto bene» diceva Corvo a Banderuola, la stessa sera del 24 luglio 1860 nella camera del comandante della Borbona, mentre questa incrociava a ponente dello stretto di Messina.

Era il 24 luglio, quando per la prima volta in questa campagna la Borbona, destinata inutilmente alla difesa di Melazzo, approdava nel porto di Messina, e sbarcava nella cittadella un conosciuto nostro, il più astuto corifeo del negromantismo, il gesuita Corvo; e siccome dopo la battaglia di Melazzo, le camicie rosse cominciavano a segnalarsi sulle alture di Messina, il discepolo di Lojola credè meglio impartire le sue istruzioni al Comandante della cittadella, e tornarsene a bordo sulle ali dei venti e del vapore.