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Essendosi fatta notte, la vecchia Menica venne a deporre sul tavolo un'antica lucerna d'ottone che mandava una luce rossastra, ed avendo fatto cenno alla padrona, questa la seguì accompagnata da sua figlia. Bitto uscì egli pure dalla stanza, attirato forse dall'odore della cucina, ed io rimasi solo col signor Nicola, che mi mise al corrente di quanto poteva interessarmi.

Dopo un sonno profondo mi svegliai indolenzito, ammaccato, scapigliato, sconcio, colla testa pesante e la borsa leggiera, in maniche di camicia. Ero sotto il tavolo, all'oscuro, dimentico d'ogni cosa, sbalordito. Chiamai la Rosa. Bitto venne a leccarmi il volto con affezione inquieta, e pareva che volesse parlarmi.

Alcuni devoti cantavano le preci dei morti con aria distratta, ma il mio caro Bitto seguiva il corteo in attitudine di profonda tristezza. Il testamento nominava l'Agata erede di tutta la sostanza, assicurava alla vedova una rendita vitalizia, destinava a me l'orologio del defunto in ricordo, e fissava alcuni piccoli legati a parenti lontani e ai domestici.

L'inverno successivo sarebbe passato tranquillamente, se una perdita dolorosa non fosse venuta ad amareggiarlo: il povero Bitto morì di vecchiaia. Da qualche tempo la paralisi delle gambe lo obbligava a non muoversi dal cuscino, e solo le nostre assidue cure lo tenevano in vita. Giunto agli estremi, fissò l'occhio affettuoso ne' suoi amici e spirò.

Bitto, oramai vecchio decrepito, trascinandosi lentamente ai piedi dell'antica sua amica, che vedeva immersa nel dolore, le posò il muso sui ginocchi, e guardandola con occhio pietoso, pareva le dicesse: divido le tue pene.

Mia suocera era accorsa ad assisterci e a farci coraggio, la Menica aiutava la Rosa, Bitto non lasciava che di rado la camera dell'ammalata, ed io avevo perduta la testa, e non servivo che d'imbarazzo.

Non tardai parimente ad avvedermi che l'Agata era la delizia di tutti: sua madre la contemplava con tenerezza, suo padre le sceglieva i bocconcini più ghiotti, e glieli offriva con compiacenza, la Menica girando intorno la tavola l'ammiccava con un sorriso, Martino la serviva con diligenza e premura, Bitto non si distaccava più dal suo fianco, ed era cane di buon naso.

Egli scodinzolava in segno di assentimento, io gli feci una carezza affettuosa, egli venne a lambirmi la mano, e così gli diedi, ed egli accettò cordialmente il nome di Bitto. Quel giorno pranzammo lietamente a Tirano, e usciti dal paese, prendemmo un'oretta di riposo sull'erba all'ombra d'antiche piante sui confini d'un bosco.

Era quasi mezzanotte quando uscii di casa Bruni colla Rosa e con Bitto. Spirava una di quelle brezze che arrestano l'acqua delle cascate cambiandole in cristallo, eppure io non sentivo il freddo, tanto era elevata la temperatura del mio cuore.

Vostra madre vi ascolta!... mi rispose, e fissandomi con uno sguardo significante si ritirò dietro sua madre. Io rientrai in casa, cenai con appetito, perchè avevo il corpo stanco e l'animo lieto, e quando Bitto, secondo il suo costume, mi fece molte carezze, sentii che quel giorno non ero indegno dell'affezione del mio cane.