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L'omaccio l'aveva perseguitata altra volta e qui, quando stava con noi e a Sulzena dove si recava tutte le settimane. Egli aveva per lei una di quelle sue feroci concupiscenze che sapete per il caso della povera Gina. Il luogo era solitario. Quella bestiaccia si lanciò su lei, le attenagliò il braccio e le disse balbettando: Bella ragazza, lasciate ch'io vi faccia un bacio.

PANURGO. Non dice nulla. GERASTO. Parla. Che dicevi di medico? TOFANO. Dico che.... GERASTO. Che cosa «dico che»? TOFANO. Voi mi toccate il gomito; che volete da me? PANURGO. Chi ti tocca, asinaccio? TOFANO. Adesso mi tocchi il piede. Omai m'avete storpiato. PANURGO. Non si vuol partir questa bestiaccia! TOFANO. Dove volete che vada? PANURGO. Va' in buona ora!

«Polli! hanno a essere bestiaccia! gridò egli, e fatta la pace mangiò come piacque alla donna, stupita di non aver avuto in faccia, un paio almeno degli antichi ceffoni.

DULONE. Veggio venir fuori Cintio da Lidia, e viene a tempo. AMASIO. Sento nominar Cintio. Ancor sta qui questa bestia che non lascia far i miei fatti? eccomi qui per sbestiarti, bestiaccia! CAPITANO. Qui ci manca un schiaffo e una mentita: sta da lungi e non posso dargli lo schiaffo, pazienza! della mentita non posso farne di meno.

Il giovane disperato sgattaiolò rapidamente fuori dal buco, e cominciò a spolverarsi col fazzoletto, mandando al diavolo quella bestiaccia impertinente che gli aveva insudiciato il vestito. Maria lo seguì sgridando il cane, e ridendo della sorpresa inaspettata, e della impressione disgustosa che le pareva avesse prodotto sul cugino.

Fermati olá, lascia costei! ERASTO. Se non taci e ti parti, ti farò pentir di tanta temeritá! CAPITANO. Se non ti fermi, ti taglierò le gambe! ERASTO. Capitan, va' via, non tôr briga dove non hai a far nulla. CAPITANO. Come nulla? i fatti d'Amasia m'importano molto. ERASTO. Traditore, me l'hai fatta scampar di mano: mal per te, bestiaccia! Dulone, vedilo tu?

Finì col sedersi vicino a Evelina, dopo aver cacciato Numa fuori del salotto, buttandogli dietro un vecchio ombrellino rotto. Ft! Marche!... Quella bestiaccia infingarda e golosa non la poteva soffrire!

Vanardi non gli ha più badato ed è sparito: lo speziale rientra in bottega. La moglie del pittore qui su fu sovrappresa dai dolori: dice egli ai due garzoni che sbadigliano ai barattoli delle scansie. Datemi qui dei sali, una boccettina di cordiale, e vo in suo soccorso. Quel marito è una bestiaccia che non sa di niente.

CRICCA. Che flussi: di sangue o di cacaiole? PANDOLFO. Dice «influssi» e non «flussi», bestiaccia! Doppo l'osservazione avremo audienza noi? GRAMIGNA. Si porrá a tavola a mangiare e bere. PANDOLFO. Che berrá? che mangiará questa mattina? GRAMIGNA. Una Venere allessa e un Mercurio arrosto. PANDOLFO. Perché Venere prima e poi Mercurio? GRAMIGNA. È uomo fuor del naturale.

MANGONE. Camina su, bestiaccia; non lasciar luogo da cercare. Ma che dispiacer feci mai a quel raguseo, ché mi avessi a trattar cosí male? DOTTORE. Deve essere amico di Pirino e di Forca, e per far piacere a loro è stato ministro del tuo danno. MANGONE. Or che mi ricordo, avea una ciera di furfantaccio, d'un malandrino, d'un ladrone, e rassomigliava tutto a costui.