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«Come volete, alla buon'ora; ma voi siete molto amico del Bernabò.» «Io?... Non state a crederlo; non gli sono gli fui mai amico. Bensì vi dirò una cosa, gi

Il figlio di Bernabò Visconti stava seduto innanzi ad una tavolaccia colle braccia incrocicchiate sul petto, la testa ritta e incappucciata e l'occhio fisso; quantunque non l'avesse veduto che due o tre volte a Venezia, molt'anni prima, pure quella fisonomia al tutto caratteristica gli si svolse intera innanzi agli occhi, e lo riconobbe.

Questo pensiero gli venne spontaneo alla mente pel gran discorrere che in quel s'era fatto di Carlo Visconti, atteso che una delle labarde che stavano al servigio del duca in un forte che questi possedeva presso Ascona, aveva assicurato d'aver veduto co' propri occhi il figlio di Bernabò, e però s'era statuito d'armare appositamente una mano d'uomini, i quali si mettessero sulle traccie di lui in fino a tanto non lo avessero catturato.

«Intorno a che anno vi siete trovato a Milano?» «Nell'ottant'uno, quando....» «Quando il Bernabò fu preso....» «A tradimento.» «Zitto....» «Capisco che voi parlate per paura che qualcheduno ci possa udire, ma state pur certo che nessuno ci ascolta. Fatemi dunque piacere a confessare che quello fu un tradimento, e dei negri se ve n'ha

Ma quando in vece si voglia considerare questo personaggio, in mezzo a quella mostruosa corona di principi atroci Galeazzo II, Matteo, Bernabò, Giovanni e Filippo Maria Visconti, giovato dal vicino confronto, tanta luce viene a posare su di lui, e le scarse sue virtù spiccano di tanta forza che lo storico potrebbe quasi venir tentato a metterlo nel novero di quelli a cui la patria e gli uomini sono debitori di alcuna gratitudine; tanto più poi se si voglia esaminare le vita publica del duca disgiunta affatto da quella dell'uomo privato.

No», rispose Alpinolo. E l'altro continuava: A me l'ha dato Zurione, e non credo aver buttato il giorno invano, ma spero con maggiore prudenza di te. Tu a chi n'hai parlatoQui Alpinolo nominò parecchi di coloro cui n'avea fatto motto, e degli altri cui volea farlo: e Ramengo, che non ne perdeva parola, gli chiese: Ma non ti sei tu inteso con Galeazzo e Bernabò?

«Questo conte d'Armagnac è parente strettissimo di quel Carlo Visconti figlio del Bernabò che dovea sposare la Valenzia.» «Ebbene?» «Carlo Visconti ha voluto precedere il conte, e dicesi che siasi messo a far delle scorrerie sul lago Maggiore, non ad altro che per vessare la gente del suo cugino, il Conte di Virtù, che vi ha terre e castella.» «Questo non ci deve importare più che tanto

Ultimamente poi un uomo di Francia, che era stato al servigio del conte d'Armagnac, venuto segretamente a Milano, aveva fatto noto al Visconti, colla speranza di un grande compenso, che Carlo, il secondogenito di Bernabò, il quale dopo la morte paterna erasi rifugiato in Francia, ed aveva dato l'anello alla sorella del conte d'Armagnac che presto morì, partito di l

Succedettergli insieme nella signoria tre nipoti suoi, Matteo, Bernabò e Galeazzo; ma morto il primo, dicesi avvelenato da' due altri, questi, serbando Milano in comune, si spartirono l'altre cittá. Ma liberaronsi in breve Bologna, Genova e Pavia . Capo di questa fecesi un fra Iacopo de' Bussolari, letterato, poeta, amico del Petrarca anch'egli, un Cola di Rienzo lombardo.

Di somma voglia Luchino avrebbe côlto il destro di togliersi d'in su gli occhi i tre nipoti, Bernabò, Galeazzo e Matteo, siccome gliene offrivano ragione le lettere trovate in casa Pusterla, e che furono l'argomento di maggior peso in quel processo.