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Nemmeno un teatro. Prefettura e Municipio nello stesso palazzo, all'ultimo piano! Macché! Dopo dimani adios! Lei resta? feci al di Bartolo. L'altro nostro compagno di tavolino, Bazza, cancelliere alla Pretura, al solito s'era addormentato. Usava di far questo ogni sera, e lo svegliava il cameriere quando il caffè si chiudeva. Ma è presto osservò il di Bartolo. Guardi, non sono le dieci.

Il di Bartolo si volse, con l'indice puntato sulla Gazzetta al passo che leggeva. Mahmud? L'orso bianco disse l'ercole, grave. Difatti io dissi avrete le vostre spese... Spese? Altro! E poi gli incerti, caro lei. Se sapesse!

Il 20 maggio gli Austriaci, forti di 6000 uomini oltre l'artiglieria, assalivano i posti avanzati di Vicenza sviluppando la loro azione di artiglieria e di ben nutrito fuoco di fucileria contro le barricate di Porta S. Lucia, di Porta Padova e di Porta S. Bartolo, ma dopo 4 ore di combattimento il nemico fu da ogni parte brillantemente respinto.

A tale interpellanza, mi si affaccia il caos... Dodici anni mi si affollano intorno, urtandosi, sospingendosi, assordandomi l'orecchio di grida diverse. L'immortale questurino di Siviglia non si trovò a peggior condizione della mia, allorquando salì in casa di don Bartolo per rimettervi l'ordine.

Talvolta si accompagna allo scherno la satira arguta e mordace contro la corruzione del clero. Nella Scolastica dell'Ariosto (atto III, sc. 6), Bartolo, ad espiare certo suo peccato giovanile, vorrebbe farsi romeo. E un frate gli dice:

Cogli occhi tuttora fra il sonno, con un berretto da notte dal quale scappavano fuori due orecchi che non avrebbero minimamente stuonato sulla testa di un coniglio, il povero diavolo, basso e traccagnotto come un fattore ti dava l'idea di Don Bartolo, quando rimane immobile coma una statua nel finale del primo atto del Barbiere di Siviglia.

Giffunese disse il telegrafista di Bartolo, levando gli occhi dalla Gazzetta di Venezia che gli mandava ogni giorno un suo ex collega di laggiù ove il di Bartolo era stato quattro anni. Seguì un silenzio. Il Caffè Grande era quasi deserto: due mercanti ragionavano del raccolto a un cantuccio, e a un altro sedeva, solitario, il giovane professore di lettere del Liceo Cotugno.

La vedo così uggioso! Che ha? S'annoia, non è vero? Sorrisi malinconicamente. E mentre, voltandomi, cercavo sul divanetto ov'ero seduto, il mio bambù e l'ultimo fascicolo della Rivista Clinica sulla quale il di Bartolo s'era adagiato, l'ercole, frugando nel taschino del suo panciotto, borbottò: S'intende: questo non è paese per gente che vive. Denari in giro niente: divertimenti niente.

Il di Bartolo s'era sprofondato nella lettura del suo giornale, ma di volta in volta, ne levava lo sguardo per lasciarlo posare sul mio interlocutore, ch'egli affisava, silenzioso per qualche minuto, come si fa con certe persone nuove le quali vi suscitano un curioso interessamento nell'animo.

Un rhum! chiese l'ercole, dopo un po', lanciando al soffitto la prima boccata di fumo denso e puzzolente Almeno soggiunse, e si trasse davanti il bicchierino qui c'è calduccio, ci si sta bene. Hanno visto fuori? Mezzo palmo di neve e nemmeno un cane per la via. La neve in Ottobre? Ma dico, dove siamo? In Russia? Cattiva stagione disse il di Bartolo, per dir qualcosa.