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Quand'era coll'ingegnere biasimava gli scioperanti, o tutt'al più suggeriva qualche piccola concessione che, secondo lui, avrebbe calmato gli animi; appena poteva recarsi nei ritrovi dei collegati, li confortava a resistere assicurandoli che la notizia dello sciopero avrebbe indotto la Direzione di Londra ad aprir subito le trattative per un componimento amichevole.

Tutto pareva ormai tranquillo, ed ogni pericolo di resistenza sventato, quando, nel cuore della notte, le legioni prendono le armi ed, accorrendo al palazzo, lo circondano in modo che nessuno possa fuggire. Con grida immense, proclamano Giuliano Augusto, cioè, Imperatore, e, al primo albeggiare, lo costringono a presentarsi e raddoppiano, alla sua vista, il festoso clamore. Invano Giuliano tenta di calmarli, promettendo loro che non avrebbero passate le Alpi, ed assicurandoli del perdono di Costanzo. I soldati s’infuriano di più, e, alzatolo sugli scudi, vogliono che si ponga in capo il diadema imperiale. Egli non ne ha. Ebbene, s’incoroni con una collana di sua moglie. Ma un ornamento femminile non conviene come emblema d’impero. Si prenda il pettorale dorato di un cavallo. Peggio ancora. E, allora, un vessillifero dei Petulanti, strappandosi una collana che portava come segno del suo grado, ne circonda il capo di Giuliano. Questi, che non ha potuto resistere alla pressione dei soldati, si ritira incerto, stupefatto, esitante nella reggia. Ma ecco che, il giorno seguente, fra i soldati, si diffonde la voce che Giuliano è stato segretamente trucidato. E tosto riprendono le armi e furiosi corrono alla reggia, e non si acquetano finchè il nuovo imperatore non viene al loro cospetto, rifulgente delle insegne del potere. Da quel momento, Giuliano assume apertamente la sua posizione, parla ai soldati come imperatore, loro ricorda le imprese insieme compiute, dichiara di confidare intieramente nella loro lealt

Giacobbe entrò in mezzo ai fanciulli, i quali in ginocchioni stavano piangendo intorno alla caduta reputandola morta, e si recò in collo la Luisa consolando tuttavia i fanciulli, ed assicurandoli che la mamma era viva. Ei la depose sul letto, le sottomise al capo gli origlieri, e per ultimo, tenendosi ritto ed ossequioso, disse ad Angiolina: Nati a soffrire e a morire, anche noi, che voi maledite, abbiamo un cuore qui dentro. Se più volete da me, domandate, vi prego, e le creature di Dio divise dalla ingiustizia sieno almeno riunite dal dolore. Angiolina lo accomiatava, attentandosi per fino a stringergli la mano. Luisa dopo lunga ora rinvenne: girando attorno al letto gli occhi smarriti vide i figliuoli, come Niobe un giorno contemplò i suoi, trafitti dalle saette della sventura. Si appoggiò sopra un gomito sollevando alquanto la persona, e con voce languida disse loro queste parole: Noi non lo rivedremo più! In breve, fanciulli, noi non avremo più tetto che ci ricovri: tutto perderemo in un punto; padre, congiunti, amici, fama, e sostanze. Dimenticate chi foste, per rammentarvi quello che siete. Quando gli amici di vostro padre fingeranno di non riconoscervi, non ve ne adontate: i servi vi hanno abbandonato, compatiteli; essi stanno attaccati al pane, e voi non avete più pane: i figli dei gentiluomini si vergogneranno di voi; bastate a voi stessi: i figli del popolo vi fuggiranno; riconduceteli a voi con lo affetto: la mano di tutti sar