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Nel pomeriggio di quel medesimo sabato, ebbi un accesso di tristezza singolare. Era giunta la posta alla Badiola; e io e mio fratello, nella sala del bigliardo, davamo una scorsa ai giornali. Per caso mi venne sotto gli occhi il nome di Filippo Arborio, citato in una cronaca. Un turbamento subitaneo s'impadronì di me. Così un lieve urto solleva il fondiglio in un vaso chiarito.

E ripensai il titolo dell'annunziato libro di Filippo Arborio: Turris eburnea. I dubbii mi si affollarono nello spirito. Si trattava d'un riscontro puramente casuale con l'appellativo della nota dedica? O lo scrittore aveva inteso creare un personaggio letterario a simiglianza di Giuliana Hermil, narrare la sua avventura recente? E di nuovo la torturante interrogazione mi si ripresentò.

L'Altro, dall'istante in cui era comparso, era rimasto di continuo innanzi a me. Era Filippo Arborio? Avevo proprio indovinato? Non m'ingannavo? Mi voltai verso Giuliana all'improvviso. Ella mi guardò. La domanda repentina mi rimase strozzata nella gola.

In quell'inverno non incontrai mai a casa mia Filippo Arborio; poche volte lo vidi in luoghi publici. Ma una sera lo trovai in una sala d'armi; e l

Tra me e mio fratello s'intrapponeva la figura di Filippo Arborio, vivificata dal mio odio, resa dal mio odio così intensamente viva che io provavo, guardandola, in sensazione reale, un orgasmo fisico, qualche cosa di simile al fremito selvaggio da cui ero stato preso talvolta trovandomi sul terreno, di fronte all'avversario spogliato di camicia, al segnale dell'attacco.

Quando incominciai l'assalto col maestro, sotto gli occhi di tutti i presenti, s'impadronì di me una particolare eccitazione nervosa che raddoppiò la mia energia. E sentivo su la mia persona lo sguardo fisso di Filippo Arborio.

Subito, nel mio spirito, l'Altro aveva preso l'imagine di Filippo Arborio; e, al primo impeto di gelosia carnale che m'aveva assalito dentro l'alcova, l'imagine abominevole s'era accoppiata con quella di Giuliana in una serie di visioni orrende.

I suoi occhi erano grigi come quelli di Filippo Arborio. Tra le varie espressioni del suo sguardo una mi colpiva più spesso, in una scena imaginaria che ogni tanto si ripeteva. La scena era questa: Io entrava senza sospetto in una stanza immersa nell'ombra, piena d'un silenzio singolare. Credevo d'esser solo, l

Ella rientrò nella stanza. Vedendo quel libro tra le mie mani, disse con un sorriso confuso, con un po' di rossore: Che guardi? Conosci Filippo Arborio? io le domandai subito, ma senza alcuna alterazione di voce, con il tono più calmo e più ingenuo ch'io seppi. , ella rispose, franca. Mi fu presentato in casa Monterisi. È venuto anche qualche volta qui, ma non ha avuto occasione d'incontrarti.

Poi gli chiesi notizie di alcuni amici frequentatori della sala; infine gli chiesi notizie di Filippo Arborio. Non è più a Roma, da quattro o cinque mesi mi rispose il maestro. Ho sentito dire che è malato, d'una malattia nervosa molto grave, e che difficilmente guarir