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Il piccolo portafogli l'avevo sotto il mio guanciale: quando i miei parenti erano a pranzo, mi tiravo su a sedere sul letto, prendevo il portafogli, lo aprivo, leggevo il tuo nome e lo baciavo. E i miei libri francesi? Raphael et les confidences?

Come? volete educarmi, e mi impedite di tenermi pulito e di lavarmi come si lavano tutti i cristiani! I fichi secchi ho dovuto gettarli nelle immondizie che raccogliamo nell'angolo. Li aprivo, e uscivano i bachi. Don Davide, mi fece dimenticare i fichi con un motto latino. Sursum corda. Sit gressus ad superiora; melius est ascendere. In alto i cuori.

Io mi sentivo sfinito, incapace di trascinare più oltre il peso di quell'esistenza miserabile. Ogni mattina, veramente, quando aprivo gli occhi dopo un sonno agitato, era come se qualcuno mi presentasse una coppa profonda, dicendomi: "Se tu vuoi bere, oggi, se tu vuoi vivere, bisogna che tu sprema qui dentro, fino all'ultima goccia, il sangue del tuo cuore."

Vedevo come in sogno lo zio canonico che andava a dir messa, il gatto di casa che miagolava fregandosi alle sottane di Veronica, mentre essa apparecchiava la colazione, entravo nella mia cameretta deserta, aprivo il balcone, e stavo aspettando che la contessa Savina comparisse alla finestra dirimpetto, per pagare il suo debito, restituendomi il bacio.

Dopo la lezione mi chiudevo nello studio, aprivo un libro, ma guardavo fuori dalle finestre leggendo in aria tutto quello che sta scritto nel firmamento, nelle meteore, nello spazio, nel tempo. La solitudine, il silenzio, il cielo nuvoloso, la terra ricoperta dalla neve, come feretro d'una fanciulla del candido tappeto simbolico, portavano i miei pensieri alle più tetre considerazioni. Meditavo sulla morte della natura, e sulla probabilit

Sul mio onore udito ho come un mormorio bizzarro che mi ha svegliato: ed io vi ho scosso allora e vi ho svegliato e mentre aprivo gli occhi visto ho le spade loro ignude. Certo vi fu rumore, e questo è vero. Meglio faremo a stare in guardia o pur lasciamo questa contrada. E sfoderiam le spade. Lasciamo pure questo luogo e il figlio mio misero cerchiamo.

Ella pensava alla sua partenza ed era triste. Quando fummo a casa ci sedemmo come al solito ai due lati della tavola. Ma il vino bevuto mi era salito al capo; e senza esserne ancora precisamente esaltato, ne avevo le idee intorpidite e l'occhio stanco. Non sapevo più parlare. Ogni volta che aprivo la bocca dicevo: Mi amate, Fulvia?

Se dovete vivere in campagna, essa aggiungeva, avete bisogno d'un orto; se sapete coltivarlo ne caverete degli utili, e poi imparerete anche a coltivare i fiori. Le promettevo di occuparmene seriamente... ma quando aprivo il mio Ortolano dirozzato, e leggevo quelle elucubrazioni sulla cultura dei cavoli, il libro mi cadeva dalle mani, e contro mia volont

Così rivedevo tutto, a occhi chiusi; aprivo gli occhi, e rivedevo tutto ancora, con una intensit

Sono quattro pagine di racconto particolareggiato, filato. Il lettore dimentica che non si tratta d'una scena diretta, ma della visione interna, della memoria di una scena. vale che Tullio Hermil aggiunga: "Così rivedevo tutto, a occhi chiusi: aprivo gli occhi, e rivedevo tutto ancora, con un'intensit