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Frattanto i padri, alla bottega giunti, leggono le gazzette per un pezzo, e notan negligenze, errori e punti. Alcuno grida: O Dio, mi scandalezzo, il tal monarca s'è portato male, e non fu cauto appien quel maresciale.

POPPEA Deh! soffri, che, s'io pure a' tuoi piedi ora non spiro,... l'ultimo addio ti doni... NER. Oh! che favelli? Deh! sorgi. Io mai lasciarti?... POPPEA A te che giova meco infingerti? Appien fors'io non veggo, signor, che tu, sol per calmar miei spirti, or di celarmi il tuo timor ti sforzi? Non leggo io tutti i tuoi piú interni affetti nel volto amato? occhio di donna amante, sagace vede.

Egli gentile appien l'animo tolse Da quei secreti abbominati e crudi, E sol de l'erbe a penetrar si volse Con l'arti di costei vizj e virtudi; Quinci fu chiaro, e bella fama sciolse I gridi intorno a celebrar suoi studi, E se del suo valore unqua diè segno, Or per lo grande Eroe sforza l'ingegno.

NER. Cessa, taci, ritratti, o ch'io... POPPEA Lo sdegno merta costei del signor mio? Gli oltraggi son le usate de' rei discolpe vane. Se offendermi ella, o se prestarle fede potessi tu, solo un de' motti suoi punto m'avria. Che disse? ch'io non t'amo? tu sai... OTTAV. Tu il sai piú ch'egli: ei lo sapria, se il trono un perdesse: appien qual sei conosceriati allora.

potess'io dirne appien quanto 'l cor brama, che d'invidia empirei e di dolore ogni spirto più saggio e più gentile, benchè vostro valor eterna fama per se vi acquisti, caro mio signore, quanto 'l sol gira e Battro abbraccia e Tile. LII. Al Card. di Tournon

Per accrescere il fragore Darò fiato a' miei polmoni, L'anatema del Signore Tempo è omai che qui risuoni.... D'esser frate alfin mi scordo.... E se Iddio fa spesso il sordo, Col cannon della mia voce Sordo appien lo renderò.

Ben scegliesti: partito altro non hai, che svelarti qual sei: far chiaro appieno a Roma, e al mondo ogni delitto tuo; me discolpar presso al mio popol, darti qual t'è dovuta, con infamia, morte. SENECA Piú non mi pento, e fu opportuno il punto. OTTAV. Nerone, appien giá sei scolpato; godi. Giá d'esser stata tua, d'averti amato, data men son debita pena io stessa. NER. Pena? Che festi?

E pena a te, qual fia piú lieve? il vile tuo amor, che ascondi invano, appien ti fora per me concesso il pubblicarlo: degna d'Eucero amante, degnamente io farti d'Eucero voglio sposa. OTTAV. Eucero è velo a iniquitá piú vil di lui. Ma teco io non contendo: a ciò non nacqui: ardita non son io tanto... NER. A chi se' omai tu pari?

Da' suoi torbidi amici appien disgiunta, quí di mie guardie cinta la vedrai, non tua rival, ma vil tua ancella: e in breve, s'io del regnar l'arte pur nulla intendo, ella stessa di se palma daratti. POPPEA Comun periglio oggi corriam; noi dunque oggi cercare, o Tigellin, dobbiamo comun riparo. TIGEL. E che? d'Ottavia temi?...

Io trar di nuovo, e a piú furore, io posso la giá commossa plebe; appien svelarle io posso i nostri empj maneggi: io, trarti, piú che nol credi, ad ultimo periglio. Io di Neron fui consigliero; e m'ebbi vestito il core dell'acciar suo stesso. Tua rabbia, sbramala in me; securo il puoi: ma trema, se Ottavia uccidi: io te l'annunzio; tutto sovra il tuo capo tornerá il suo sangue.