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PEDANTE. Deo gratias. Giá siamo pervenuti all'antica Palepoli e moderna Napoli, uberrimo seminario degli oci e delle delizie. Salve o terque quaterque bella Napoli! ALTILIA. Oh che gentil Napoli! veramente piú bella e piú magnifica assai di quel che il mondo ne ragiona.

ALTILIA. Io rapita nel pensiero delle vostre qualitá rare e inimitabili, ho pasciuto l'intelletto di certo inusitato diletto che solo m'ha sostenuto in vita, e fra cosí dolci inganni ingannando me stessa, ho passata la vita mia; so che altro rispondervi che tutte le parole che devrebbono uscir dalla mia bocca, tutte escono dalla vostra.

ANTIFILO. Dimmi, Lardone mio, come stia. LARDONE. Io non son medico che toccandovi il polso lo potessi sapere. ANTIFILO. Lo sai meglio d'un medico: se mi rechi lieta risposta alla mia lettera, son vivo; se mala, son disperato della vita. Onde se vedrò con effetto che m'hai servito bene, ti farò conoscere che da me sarai servito assai meglio. LARDONE. Ho dato la lettera ad Altilia.

GIACOMINO. Che cose ponno essere maggior di queste? CAPPIO. Che dormirete insieme questa notte. GIACOMINO. Eh, Cappio mio, parla presto, ché tu mi strangoli piú che non farebbe un cappio di manigoldo. CAPPIO. Per dirtela in breve, il pedante va in Roma, ed ha mandato Lardone innanzi, al Cerriglio, a preparargli l'albergo, ché vien con Lima ed Altilia.

ALTILIA. Vorrei che poteste ascoltar quello che nel silenzio della lingua desidera palesargli il core: che se vi è pur alcuna cosa di buono, tutto vien da' raggi del tuo sole che m'indorano tutta; da quello viene ogni mio bene. Ma ditemi, cor mio, come avete sopportata l'assenza di tanti mesi che non m'avete veduta?

ALTILIA. Che non può esser grand'amore ove non è gran téma, gran sollecitudine e gran sospetto di quel che si deve e non deve temere.

Ho esseguito quanto m'avete imposto, con piú destrezza e diligenza che comandato m'avete. GIACOMINO. Se fosse come dici, giá saresti a Salerno. CAPPIO. Ed io ho ragionato con Lardone e fatto di modo che questa sera arete Altilia in casa vostra. GIACOMINO. Com'è possibile ch'abbi fatto quanto dici? CAPPIO. Questi son miracoli che sa fare il vostro Cappio. GIACOMINO. Tu ridi, m'arai detto la bugia.

CAPPIO. Paggio, che fai che non porgi da bere? ALTILIA. Bevete, cor mio. GIACOMINO. Io non beverò mai, se voi non bevete prima e lasciate ch'io suchi quelle reliquie che son rimaste in quella parte del bicchiero ove han toccato le labra vostre, acciò con quelle io possa rinfrescar l'arsura dell'anima mia.

GIACOMINO. Cappio, accendi quella profumiera, ché spiri odore. ALTILIA. Io non voglio altro odore che quello che spira dai vostri onorati costumi e gentilissime maniere. GIACOMINO. Mangiate di questa vivanda, se vi piace. ALTILIA. A me sol piace quello ch'a voi piace. Ma voi perché non mangiate, anima mia?

ALTILIA. A tanto amore non so come rispondere; non posso altro, in ricompensa, che donar me stessa a voi: e voi amando me, non amate me, ma una cosa vostra; io son piú padrona di me stessa, ma sono una guardiana delle cose vostre.