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Selam era un gran personaggio. Veramente due dei soldati della Legazione portavano questo nome, tutti e due addetti al servizio particolare dell'Ambasciatore; ma come dicendo Napoleone, se non s'aggiunge altro, s'intende Napoleone primo, così fra noi, in viaggio, dicendo Selam intendevamo dir quello solo. Come l'ho sempre vivo dinanzi agli occhi! Lui, Mohammed lo sposo, e l'Imperatore, sono veramente per me le tre figure più simpatiche ch'io abbia viste nel Marocco. Era un giovane bello, forte, svelto e pieno d'ingegno. Capiva tutto a volo, faceva tutto in furia, camminava a salti, parlava a sguardi, era in moto dalla mattina alla sera. Per i bagagli, per le tende, per la cucina, per i cavalli, tutti si rivolgevano a lui; egli sapeva tutto e rispondeva a tutti. Parlava mediocremente lo spagnuolo e sapeva qualche parola d'italiano; ma si sarebbe fatto capir anche coll'arabo, tanto la sua mimica era pittoresca e parlante. Per indicare una collina faceva il gesto d'un colonnello focoso che accenni al suo reggimento una batteria da assalire. Per fare un rimprovero a un servo, gli si precipitava addosso come se l'avesse voluto annientare. Mi rammentava ogni momento Tommaso Salvini nelle parti d'Orosmane e d'Otello. In qualunque atteggiamento si mostrasse, da quando versava l'acqua fredda sulla schiena all'ambasciatore a quando ci passava accanto di galoppo, inchiodato sul suo cavallo castagno, presentava sempre una figura bella, elegante ed ardita. I pittori non si stancavan mai di guardarlo. Portava un caffettano scarlatto e i calzoncini azzurri: si riconosceva alla prima da un'estremit

Finita la colezione, s'andò tutti nel cortile, dove il Ministro della guerra presentò all'Ambasciatore uno dei più alti ufficiali dell'esercito.

Era orditura di Richelieu, il quale venuto allora ministro, avea persuaso a Luigi XIII volersi armi a sostenere e risolver i trattati. Onde all'ambasciatore di Francia che da Roma si lagnava degl'impacci attraversati a quest'affare, rispose: "Il re ha cangiato di consiglio, e il ministero di massima. Si spedir

Nell'anno 1645, il senato mandò all'ambasciatore veneto in Polonia Giovanni Tiepolo una lettera pel re di Persia, incaricandolo di spedirla in quel regno con apposito legato, e di pregare il re di Polonia di unire anch'egli un suo oratore per lo interesse comune della cristianit

Vedete infatti; di tanti martirii, di tante sofferenze, s'incominciava a raccogliere il frutto. Gravi risoluzioni erano state prese nel segreto dei colloquii diplomatici, e quel segreto lo sapevano tutti, in Italia. Il Piemonte si armava a furia; la Francia, la nobile Francia, caldeggiava l'impresa. Ancora qualche mese, e una frase severa di Napoleone III all'ambasciatore austriaco appiccava il fuoco alle polveri. La guerra imminente! E qual guerra! La guerra divina, di tutto un popolo contro i suoi oppressori. Lungamente abbracciato dai suoi, benedetto dal padre. Aminta Guerri andò per certi negozi domestici fino a Massa, nella primavera del 1859. Da Massa si avviò a Carrara; di l

Ci rimettemmo in cammino e in capo a un'ora circa vedemmo biancheggiare all'orizzonte le tende dell'accampamento. Un drappello di cavalieri, sbucati non so di dove, ci vennero incontro, di grande carriera, gridando e sparando i loro fucili; a dieci passi da noi, si fermarono; il capo strinse la mano all'ambasciatore; poi si unirono alla scorta.

Un vecchio, che doveva essere un capo di tribù, rivolse, per mezzo dell'interprete, qualche parola ossequiosa all'Ambasciatore. Gli altri, tutti poveri campagnoli vestiti di cenci, guardavano a vicenda noi, le tende e la loro roba, i frutti del loro sudore sparsi per terra, con un'aria tra mesta ed attonita, che rivelava una profonda rassegnazione.

Il Governatore di Laracce, un vecchio prestante con gran barba bianca, arrestò con un cenno i suoi cavalieri, strinse la mano all'ambasciatore e poi, voltatosi un'altra volta verso quella turba fremente d'impazienza, fece un gesto vigoroso come per dire: Scatenatevi!

Siate testimone, soggiunse Bambina, volgendosi all'ambasciatore, che S. M. mi d

Il paese era penetrato da un alto e legittimo senso di orgoglio nazionale; ed era questa la prova espressa, che la Francia si era emancipata dalla tutela straniera. «Se l'Europa tenesse presentemente, come ai cento giorni, settecentomila uomini sotto le armi», confessò il principe di Metternich all'ambasciatore piemontese Pralormo, «io mi deciderei sull'istante a marciare su Parigi». Se ad onta di tali umori le potenze orientali si sentirono costrette a riconoscere il nuovo regime, questo, dunque, era un sintomo della potenza della Francia.