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Un giorno ella era presa da strazianti dolori; io origliavo all'uscio attendendo... A un tratto di fuori al castello odo un suono di trombe, poi un paggio mi strappa la veste, gridando: Messere! messere! i nemici! Chi è? Adalberto! O Signore! nel castello so che eravamo male apparecchiati, scarsi d'uomini e scarsissimi di vettovaglie. Che fare? Oh che tormento fu quello! Resistere?

Sulla piazza della curte di *, di messer Ugo cavaliero, conte di Lanciasalda, sui monti di Saluzzo, ad ora di vespro, Guidello, trombetto e araldo dell'eccellentissimo signore Adalberto, conte di Auriate, lesse il bando pasquale: e così: "Avvicinandosi il giorno di Pasqua di Resurrezione, ed il nostro illustre signore desiderando partecipare coi vassalli dell'inclita signorìa la grazia, il gaudio, la letizia avuta e concessa dall'onnipotente Signore Iddio, in questo per la solennit

Dammi un pugnale avvelenato: e lascia a me la cura di sgozzare Adalberto!

Messer Ugo gli disse: Offrite, o Bonello. Adalberto vide il garzonaccio in volto. Ah chi era? Lo sapeva ora! Il giovanetto s'era fatto un uomo. Ecco il paggio stesso che recava lo stesso cuscino nero, colla stessa aria ribalda, con cui gli aveva detto vent'anni prima: Messer Oldrado è pronto a darvi l'omaggio! Adalberto fissò il garzonaccio.

Il sommo pericolo! Arrenderci? Il vitupero di mia schiatta!... Guidinga udì quel nome, e nel delirio proruppe: Adalberto! tu vieni a togliermi da questo inferno! Invocava il nimico, ed io aspettavo da lei uscisse o un bambino un destinato ad ascoltare il testamento del padre, o una bambina che avesse a dare ai figli col latte il veleno dell'odio! Ringhiavano le trombe al di fuori.

Un manoscritto che mi costò un anno di lavoro nella cella, ma riuscì così nitido, così corretto, a facciuole di santi e di beati, che sono cose da mettere su un altare, se quel sommo non fosse pagano, e l'anima dannata, com'è! Non sapevano farlo bere agli altri! risolse Adalberto: Ingo, io vorrei un greco, un latino, o un dimonio che fosse diverso da quel vostro filosofo stupendo. Ho capito.

Sogguarda un po' smarrito Landolfo, e dice subito: Ma non debbo in questo momento dir male dei vescovi. Ritorna umile davanti a Belcredi: Vi sono grato, credetemi che vi sono grato, ora, Pietro Damiani, di quell'impedimento! Tutta d'umiliazioni è fatta la mia vita: mia madre, Adalberto, Tribur, Goslar e ora questo sajo che mi vedete addosso.

Il giovane superbissimo di questo rimproccio che tornava a tanta sua esaltazione, ripose il piede in terra, si fece portare la sua maglia e il piastrone del petto, indossò l'una, si affibbiò l'altro, cinse la spada che era appiccata alla colonna, e, come si provò saldo, disse: Avete ragione, padre, messer Adalberto non ci viene incontro di certo. E il padre: Conviene esser leali: neppure fuggo.

Messere Adalberto, quando Guidaccio gli ricomparve innanzi, per poco non gli dette la mazza sul capo. Egli desiderava l'araldo insultato o peggio, le lance catturate, il ponte levatoio alzato a precipizio, inalberato sulle torri lo stendardo, tumultuosamente bandita l'oste: invece l'impresa si racconciava, come una briga da' frati, con un inchino e un Fiat voluntas tua.

Pel giorno di Pasqua di Resurrezíone, nella chiesa del castello d'Adalberto, diceva la messa un frate, e ad ascoltarla vi era il signore su un seggio, a destra dell'altare maggiore: a sinistra cinque cavalieri, in piedi, con più di cinque paggi in seconda linea, e di questi chi recava lancia, chi vessillo, chi coppa, e via, a seconda dell'omaggio che doveva rendere il proprio padrone. Messer Adalberto, perchè in quell'ora si gloriasse di tutta la sua dignit