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Credeasi allora che i figli maschi di Manfredi fossero morti, perchè Carlo d'Angiò li tenea in carcere, forse con grandissimo segreto, accreditando la voce della morte, per toglier qualunque speranza ai partigiani di casa sveva. I figli di Manfredi eran bambini quando Carlo prese il regno; egli si volle bruttare di quattro assassinî di tal sorta, d'altronde non utili, e ben suppliti da una prigionia segretissima e sepolcrale. Così gli storici contemporanei portano spenta la discendenza maschile di Manfredi, e sol di lui rimasa Costanza, e la seguente sorella Beatrice, che fu liberata nel 1284 per la vittoria dell'armata siciliana nel golfo di Napoli. La diplomatica, la quale sovente corregge le tradizioni istoriche, ci ha mostrato che vivessero a lungo dopo la morte di Manfredi i suoi figliuoli Arrigo, Federigo ed Enzo. Alcuni istorici napoletani trassero dagli archivi di quel reame dei diplomi per gli alimenti che forniansi in carcere a quegli sventurati principi sotto il regno di Carlo II; e il Buscemi nella vita di Procida ne pubblicò uno dato di Melfi il 30 giugno settima Ind. , nel quale, forse per errore di chi l'avea copiato da' registri di Napoli, l'ultimo de' giovanetti è chiamato Anselmo in vece di Enzo. Io mi sono avvenuto rifrustando que' registri in due documenti, che sembranmi più importanti perchè attestano che i detti principi vivessero insino al 1299, e che allora si ordinasse di escirli dalla prigione, e liberi mandarli a Carlo II con un cavaliere. Ciò avvenne al tempo che Giacomo di Aragona aiutava gli Angioini contro il fratello Federigo e i Siciliani, e appunto pochi giorni anzi la sua vittoria del Capo d'Orlando; talchè sarebbe da congetturarsi che il re di Napoli volle far cosa grata a Giacomo, ch'ei cercava in tutti i modi a tenersi amico ed ausiliare. Ma par che quest'atto di generosit

Il senato ricevette il primo annunzio di questa intenzione del sufì dal console a Damasco Contarini, con dispaccio 4 marzo 1508 ; quindi nel settembre dello stesso anno il provveditore di Napoli di Romania scrisse ai capi del Consiglio dei Dieci, che di notte secretamente erasi a lui presentato un messo del sufì della Persia «per pregarlo di informare il veneto senato che il suo re era amico dei cristiani, veniva a rovina del Turco, voleva bene a san Marco et alla signorìa, ed aveva fatto penetrare il suo esercito nell'Anatolia ». Finalmente colla nave di ser Francesco Malipiero arrivarono a Venezia due oratori, uno persiano ed uno caramano, con lettera di Ismaìl tradotta dal console Pietro Zeno, la quale, accreditando i suoi ambasciatori, esprimeva la buona amicizia che il re persiano portava alla repubblica, ed il suo desiderio di stringerla maggiormente e più efficacemente . Accolti essi cortesemente dal senato, furono a spese pubbliche alloggiati nel palazzo Barbaro a s.