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¹⁶⁶ Euseb., 342, 10 sg.

I; . un altro che fe' pagar dall'erario regio once cento prestate a Landolfina da un Caracciolo, che è citato ne' Discorsi di don Ferrante della Marra, Napoli, 1641, pag. 154, ed è tratto come i precedenti dal. r. archivio di Napoli, reg. segnato 1269, C, dove quelli si leggono a fog. 118 e 214, e questo a fog. 211. Surita, Ann. d'Aragona, lib. 4, cap. 13. Saba Malaspina, cont., pag 340 a 342.

D'Esclot, cap. 68, 69, 70. Geste de' conti di Barcellona, cap. 28, nella Marca Hispanica di Baluzio, ed. 1688. Montaner, cap. 10, 13, 14. D'Esclot, cap. 65, 67, 74. Geste de' conti di Barcellona, loc. cit. Bart. de Neocastro, cap. 16. Veggansi anche, Montaner, cap. 37. Saba Malaspina, cont., pag. 342. Geste de' conti di Barcellona, cap. 28, loc. cit. Saba Malaspina, cont., pag. 340 a 342.

Adduceva per causa potentissima di questi disordini la gran copia di monete basse, sesini, quattrini e parpaiole, fra le quali ne correva quantitá grande di false, e portava il calcolo che delle battute nella zecca regia montavano li soli sesini e quattrini a lire 1.668.342; che veramente è una somma esorbitantissima, per quanto sia grande e mercantile lo Stato di Milano.

Ma nel 1278 par che si volesse adunare più gente in quelle di Cefalù, Palermo, Messina, Monteforte, Milazzo, Lentini, Marineo, San Filippo; la posizione geografica basta a spiegare questa mutazione di disegni militari. Saba Malaspina, cont., pag. 342 a 345. Montaner, cap. 44, 45, 46, 47. Ric. Malespini, cap. 208. Cron. sic. della cospirazione di Procida, pag. 261.

Veg. l'appendice. Saba Malaspina, cont., pag. 342 a 345. Montaner, cap. 44, 45, 46, 47. Questi preparamenti son taciuti dagli storici contemporanei, che anzi accagionan Carlo di soverchio disprezzo. Ma ne' registri della sua cancelleria trovansi date nel 1278 delle provvisioni che non si possono in alcun modo attribuire all'impresa di Soria.

La bizzarra costumanza¹⁵ richiama quella della benedizione degli animali da tiro e da sella, carichi di nastri e di campanelli, nella chiesa di S. Antonio Abate. ¹⁵ Pitrè, Spettacoli e Feste, pp. 288, 313, 324, 339, 342 e segg.

³⁹⁰ Iulian., 340, 20 sg. ³⁹¹ Iulian., 342, 7 sg. Per sentire quanto v’ha di strano e di interessante in queste considerazioni e in quest’aspirazione alla vita tranquilla e serena del filosofo, dobbiamo ricordare che ci vengono da un uomo il quale si era accinto alla più arrischiata delle imprese, un uomo che, dal fondo della Gallia, era venuto, con una piccola schiera, ai Balcani, onde strappare al cugino Costanzo la corona imperiale. Come mai un uomo siffatto, appena raggiunto lo scopo, si abbandonava allo scoraggiamento, al desiderio di solitudine studiosa? Certo, Giulio Cesare, passato il Rubicone, Bonaparte, dopo il 18 brumajo, si sarebbero espressi come Giuliano. Che vi sia, nella lettera a Temistio, come in tutti gli scritti di Giuliano, una parte la quale non è che un esercizio scolastico non lo si potrebbe negare. Ma, pure, chi legge questa lettera sente che la tesi non è inventata a freddo, e riproduce veramente una data condizione di spirito. Giuliano era essenzialmente un’anima contemplativa. Non era un ambizioso; non fu il desiderio del potere che lo spinse alla sua perigliosa avventura. Se non ci fosse stato un movente d’ordine ben diverso, egli forse non si sarebbe mosso dalla Gallia, e non avrebbe accettata, dai suoi soldati, la dignit